Castellabate: miti e leggende
« Chi navighi il golfo, da Posidonia, vede l’isola di Leucosia, a breve distanza dalla terraferma, il cui nome prende da una delle Sirene qui caduta dopo che esse, come si racconta, precipitarono nell’abisso del mare. »
Strabone, Geografia (Libro VI, 1, 1)
La sirena Leucosia
Il mare di Castellabate, secondo le leggende popolari e i racconti antichi, è legato al mito delle sirene. Si crede, infatti, che Licosa derivi il nome dalla sirena Leucosia, che, secondo autori come Strabone, Plinio e Omero, qui abitò e qui fu sepolta dopo che si gettò in mare per una delusione d’amore. Si racconta, inoltre, che sull’isoletta di Licosa ci fosse un antico tempio dedicato proprio alle sirene.
La statua di Santa Maria a Mare
Si tramanda da varie generazioni che nei primi anni dell’Ottocento alcuni pescatori trovarono nelle acque della marina di Castellabate, avvolta nel cotone, una statua di legno di una Madonna con Bambino (Santa Maria a Mare). Sembra probabilmente che la scultura fosse stata gettata in mare da una nave che rischiava di affondare per l’eccessivo carico. Alla Vergine ripescata dal mare viene dedicata la chiesa, ora Santuario, del paese. La tradizione vuole che siano proprio i pescatori di Santa Maria di Castellabate a portare a spalla in processione la statua di Santa Maria a Mare il giorno della sua ricorrenza (15 agosto).
Le capre di san Costabile Gentilcore
Sono diverse le leggende a Castellabate che riguardano il suo santo protettore: san Costabile Gentilcore. Tra tutte queste leggende quella delle capre è sicuramente la più nota e tramandata. Secondo questa nel secolo XVI una delle torri costiere aveva avvistato cinque navi pirate pronte a dirigersi verso Castellabate per saccheggiarla. Gli abitanti del paese allertati, lasciarono di fretta le proprie abitazioni per rifugiarsi nella fortezza di Castellabate situata in cima al colle. Verso sera, mentre i pirati si stavano preparando per assediare il borgo, si vide un enorme gregge di circa 700 capre con delle fiaccole accese legate alla corna, guidate da un monaco, dirigersi dal colle verso la costa. I pirati, da lontano, pensando che si potesse trattare di un considerevole numero di abitati armati pronti a difendere il paese, rinunciarono all’assalto e tolsero le ancore per dirigendosi verso altre mete. Si crede che tale stratagemma possa essere stato ideato e realizzato da san Costabile per proteggere la popolazione di Castellabate.
Jus primae noctis
Una delle leggende più conosciute è quella dello “jus primae noctis”, ambientata nel Settecento, quando Castellabate era sotto il dominio di potenti feudatari. Tale leggenda riguarda il matrimonio di due giovani del posto: Teresa e il contadino Cipullo. Il feudatario, saputo delle imminenti nozze, pretese il diritto della prima notte con la fanciulla. Cipullo e i fratelli di Teresa si opposero a questa volontà e architettarono un piano per uccidere il feudatario. Durante un giorno di festa alla Torretta, il feudatario mentre si affaccia dalla finestra per dare inizio ai festeggiamenti viene sparato da uno dei fratelli di Teresa, che riesce però solo a ferirlo lievemente. Fallito il tentativo di uccidere il feudatario, Cipullo e i cognati vengono decapitati e le loro teste esposte su un basamento di pietra come monito per coloro i quali avrebbero osato ribellarsi al potere feudale in futuro. Le leggende racconta che durante alcuni lavori di restauro a San Marco di Castellabate siano venuti alla luce i teschi dei sette condannati.
Lo scoglio della principessa saracena
A Castellabate, secondo una delle leggende locali più antiche e suggestive, dalle parti di Tresino viveva una bellissima principessa saracena di nome Ermigarda. La giovane fanciulla era uno spirito triste e solitario che amava ammirare il mare e cavalcare con il suo bianco destriero. Un giorno, vicino alla costa di punta Pagliarolo, Ermigarda incontrò e si innamorò a prima vista di Octavio, un bellissimo ed aitante pescatore del luogo. I due innamorati vissero insieme tanti giorni felici fino a quando una mattina Octavio andò a pescare e non fece più ritorno. La fanciulla saracena non riesce a superare il dolore per la perdita del suo amato e in preda al dolore si getta dal dirupo nei flutti che le avevano portato via Octavio. Nettuno ebbe pietà dei due giovani sfortunati e li trasformò in due scogli vicini, conosciuti tuttora come lo “scoglio della principessa saracena”, una roccia che sembra assumere le sembianze di una donna con lo sguardo rivolto verso il mare. Nelle notti burrascose a Tresino, le credenze popolari pensano si possano sentire ancora le grida di Ermigarda che piange per il suo pescatore.
La campana di San Giovanni
Quella della campana di San Giovanni è una delle leggende più tramandate a Castellabate. Tresino, in tempi passati, come tutte tutte le coste tirreniche era spesso teatro delle temutissime scorribande dei Saraceni. In una di queste venne trafugata la campana dalla chiesa di San Giovanni. La nave saracena caricato il prezioso bottino salpò l’ancora per riprendere il viaggio quando fu colta da un improvvisa tempesta. Per evitare l’affondamento i Saraceni decisero cosi di alleggerire il carico sacrificando la pesante campana appena depredata. Appena si apprestarono a gettarla in mare la tempesta si placò immediatamente e questi potettero riprendere tranquillamente la loro rotta. La campana probabilmente giace tuttora sul fondo dello specchio d’acqua della Fossa di San Giovanni, un tratto di mare compreso tra punta Tresino e punta Pagliarolo. Secondo i racconti antichi in tale area nessun pescatore è riuscito mai a raccogliere le reti dopo averle calate in mare e si crede che ogni mezzanotte del 24 giugno (il giorno di san Giovanni), a Tresino, sia possibile percepire ancora il suono di una campana.